martedì 22 settembre 2015

Il Rifkin dei poveri o il Toni Negri dei ricchi: un altro superatore del capitalismo tramite la tecnica


Paul Mason: Post-capitalism: a guide to our future, Allen Lane

Risvolto
Over the past two centuries or so, capitalism has undergone profound changes--economic cycles that veer from boom to bust--from which it has always emerged transformed and strengthened. Surveying this turbulent history, Paul Mason's Postcapitalism argues that we are on the brink of a change so big and so profound that this time capitalism itself, the immensely complex system within which entire societies function, will mutate into something wholly new.
At the heart of this change is information technology, a revolution that is driven by capitalism but, with its tendency to push the value of much of what we make toward zero, has the potential to destroy an economy based on markets, wages, and private ownership. Almost unnoticed, in the niches and hollows of the market system, swaths of economic life are beginning to move to a different rhythm. Vast numbers of people are changing how they behave and live, in ways contrary to the current system of state-backed corporate capitalism. And as the terrain changes, new paths open.
In this bold and prophetic book, Mason shows how, from the ashes of the crisis, we have the chance to create a more socially just and sustainable economy. Although the dangers ahead are profound, he argues that there is cause for hope. This is the first time in human history in which, equipped with an understanding of what is happening around us, we can predict and shape the future.

Guardian
Manuale di sopravvivenza in un mondo al capolinea 

Saggi. «Post-capitalism:a guide to our future» dell’economista e giornalista inglese Paul Mason. Mutuo soccorso e cooperazione sociale per affrontare il degrado ambientale e le forti diseguaglianze sociali

Francesca Coin il Manifesto Pubblicato 22.9.2015
La prima cosa da dire dell’ultimo libro di Paul Mason Post-capitalism:a guide to our future, uscito lo scorso Luglio per Allen Lane, la cui tra­du­zione ita­liana uscirà nel 2016 per Il Sag­gia­tore, è che la let­tura che se ne può fare in Ita­lia è diversa rispetto alla let­tura che se ne farà nel resto del mondo. Un modo sem­plice (e al con­tempo sem­pli­fi­ca­to­rio) per pre­sen­tare Post-capitalism è dire che esso tra­duce per un pub­blico anglo-americano main­stream alcune delle tesi più lucide dell’operaismo ita­liano. Pre­sen­tato all’estero come un libro che spiega Hardt e Negri per non addetti ai lavori, il testo di Paul Mason si pone un pro­blema prin­ci­pale: come uscire da un futuro fatto di pre­ca­rietà, col­lasso finan­zia­rio e crisi ambien­tale? La rispo­sta di Mason è il libro stesso, che ambi­zio­sa­mente si pre­senta come un manuale verso il post-capitalismo. 

Ma fac­ciamo un passo indie­tro. Que­sto testo ambi­zioso e per certi versi appas­sio­nato si può meglio com­pren­dere a par­tire da una pre­sen­ta­zione dell’autore. Gior­na­li­sta eco­no­mico della Bbc noto al pub­blico inter­na­zio­nale per i suoi repor­tage dalla Gre­cia, da Gaza o da Sili­con Val­ley, negli ultimi anni Mason si è dedi­cato pre­ci­sa­mente a com­pren­dere le muta­zioni nei movi­menti glo­bali. Da Live Wor­king or Die Fighting, uscito per Vin­tage nel 2008, a Why it’s Kic­king off Eve­ry­where: the New Glo­bal Revo­lu­tion, pub­bli­cato da Verso nel 2013, negli ultimi anni lo sguardo di Paul Mason si è con­fron­tato con la capa­cità di autoaf­fe­ma­zione dei movi­menti den­tro e con­tro il capi­ta­li­smo finanziario. 

Le radici italiane 

Per trac­ciare un sen­tiero verso il Post-capitalismo Paul Mason ricorre a una cas­setta degli attrezzi fami­liare. Il cuore del suo testo pog­gia infatti sul Fram­mento sulle Mac­chine dei Grun­drisse di Karl Marx, il con­cetto di «Intel­letto Gene­rale» e la teo­ria del valore lavoro. L’elaborazione teo­rica che si pro­duce attorno a rivi­ste quali «Qua­derni rossi» e «Classe ope­raia» e che con straor­di­na­ria capa­cità anti­ci­pa­trice risco­pre la quarta sezione del I Libro del Capi­tale, il «Capi­tolo VI ine­dito» o il Fram­mento sulle Mac­chine, costi­tui­sce uno dei capi­saldi teo­rici di que­sto testo, che si rifà al les­sico ope­rai­sta per spie­gare le tra­sfor­ma­zioni del pro­cesso di valo­riz­za­zione del capi­tale e con esse l’estensione del comando del capi­tale dalla fab­brica alla società. «Se negli anni Set­tanta Negri e la sini­stra radi­cale ita­liana erano pre­ma­turi nell’affermare che la fab­brica non era più il luogo della lotta di classe e che la società stessa era diven­tata la fab­brica, oggi quest’affermazione è cor­retta», scrive il gior­na­li­sta inglese. 
Da que­sto punto di vista biso­gne­rebbe dire che il sag­gio di Paul Mason ha un’importanza sim­bo­lica, ovvero scan­di­sce la dif­fu­sione nel dibat­tito main­stream di tesi che sino ad oggi sono state mono­po­lio di filo­sofi radi­cali e movi­menti sociali. Recen­sito nel Finan­cial Times e attac­cato dalla destra, il testo a posto di fronte agli eco­no­mi­sti orto­dossi temi che que­sti spesso igno­rano né inten­dono legit­ti­mare. C’è da dire, tut­ta­via, che que­sto lavoro non è una tra­spo­si­zione delle tesi ope­rai­ste in salsa anglo­sas­sone. Inol­tre, non si rifà al capi­ta­li­smo cogni­tivo – anche se l’autore richiama spesso la teo­ria e i suoi autori. Dal punto di vista meto­do­lo­gico, riprende la teo­ria delle onde di Kon­dra­tiev, giun­gendo ai mutati rap­porti tra capi­tale e lavoro a par­tire dall’analisi dei para­me­tri non lineari dell’ultimo ciclo eco­no­mico. Anche se annota che si rifa alle tesi del filo­sofo ita­liano Paolo Virno, nel testo cita Yann Moulier-Boutang e inter­preta il capi­ta­li­smo cogni­tivo come una sorta di «terzo capi­ta­li­smo» a cui con­trap­pone la tran­si­zione al post-capitalismo. 
La cosa in verità è più com­pli­cata di così. Carlo Ver­cel­lone, da sem­pre uno dei teo­rici più pre­cisi e raf­fi­nati del capi­ta­li­smo cogni­tivo, ha tenuto spesso a sot­to­li­neare come il con­cetto di capi­ta­li­smo cogni­tivo volesse evi­den­ziare il ruolo cen­trale nell’epoca post­for­di­sta assunto dalla cono­scenza, senza però cele­brare la capa­cità delle nuove tec­no­lo­gie di libe­rare il lavoro dall’alienazione, come hanno fatto i teo­rici dell’economia della cono­scenza, bensì espli­ci­tando la tra­sfor­ma­zione nella rela­zione tra capi­tale e lavoro e le pos­si­bi­lità di supe­ra­mento della sus­sun­zione. Da que­sto punto di vista la vici­nanza tra Paul Mason e i teo­rici del capi­ta­li­smo cogni­tivo pare sus­si­stere nel ten­ta­tivo di de-naturalizzare le cate­go­rie eco­no­mi­che e dismet­tere la pelle del lavoro salariato. 

Una fine da paura 

La vici­nanza sus­si­ste forse anche nelle moti­va­zioni. Lad­dove Mason scrive che il capi­ta­li­smo ha rag­giunto i pro­pri limiti, affer­ma­zione sulla quale si potrebbe aprire una discus­sione, ciò che pare pre­oc­cu­parlo è la fine della razio­na­lità pro­gres­siva del capi­tale, quella che Carlo Ver­cel­lone ha iden­ti­fi­cato con il divor­zio tra la logica del valore e quella della ric­chezza, la situa­zione per cui il dive­nire ren­dita del pro­fitto ha por­tato a una cre­scita ver­ti­gi­nosa delle dise­gua­glianze acuita da poli­ti­che mone­ta­rie espan­sive. Il capi­ta­li­smo sta morendo, ripete Paul Mason, ed è per­fet­ta­mente razio­nale pro­vare panico, conclude. 
Paul Mason non richiama neces­sa­ria­mente il capi­ta­li­smo cogni­tivo, dun­que, ma fa pro­prie le pos­si­bi­lità dischiuse dalla sua ana­lisi. E infatti le pagine più belle del libro sono alla fine quelle in cui parla di pos­si­bi­lità. Le pagine in cui descrive la «ter­ri­bile bel­lezza» dell’epoca rivo­lu­zio­na­ria e il «mas­sa­cro delle illu­sioni» dell’epoca fasci­sta. In cui ci porta a Milano negli anni Ses­santa per ascol­tare tre lavo­ra­tori della Fiat. Si parla di espe­rienze di occu­pa­zione, di pra­ti­che di auto-riduzione, di pro­cessi di riap­pro­pria­zione. «All’inizio era­vamo solo in sette. Poi quando abbiamo rag­giunto gli uffici della dire­zione era­vamo in set­te­mila. La pros­sima volta ini­zie­remo in set­te­mila e alla fine saremo in set­tanta mila, e sarà la fine della Fiat! Agnelli, addio!». Paul Mason spul­cia nella sto­ria ita­liana, e fil­tra la sua sedu­zione per quella fibril­la­zione spa­ven­tosa che l’epoca rivo­lu­zio­na­ria porta con sé quando l’aria vibra di pos­si­bi­lità e di ecci­ta­zione.

È in fondo que­sta la sua proposta. 

La pro­po­sta di Post-capitalism è di libe­rare la col­la­bo­ra­zione dal mer­cato. La cre­scita della com­po­si­zione tec­nica e orga­nica del capi­tale con­sente all’umanità di vivere nell’abbondanza e di libe­rare il tempo. Totale auto­ma­zione, zero lavoro, zero car­bo­nio, socia­liz­za­zione del sistema finan­zia­rio, red­dito di cit­ta­di­nanza sono una pos­si­bi­lità con­creta che egli chiama Pro­ject Zero. Una pos­si­bi­lità che que­sto testo ha il pre­gio di pro­iet­tare nel dibat­tito main­stream. Tra­scu­rando, forse, un vec­chio pro­blema: il rap­porto di forze. Il desi­de­rio di dare l’assalto al cielo, quando nei bas­si­fondi muove tal­volta un’angoscia che agi­sce legit­ti­ma­mente a par­tire da razio­na­lità diverse rispetto anche alle più sublimi visioni.

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